Alpini e aviatori probabile la pace

di Renzo Valente

A proposito degli alpini che domenica ventura vengono qui a Udine per trovarsi fra di loro e per far sapere agli altri, che sono ancora vivi e sempre disposti a dare senza chiedere, il solito attaccabrighe consiglia adesso di riprendere il discorso avviato alcuni mesi fa su questo stesso angolo di giornale per stabilire chi fra gli alpini e gli aviatori stato più bravo.
In tale occasione gli aviatori hanno tentato di far capire agli alpini che anche loro, comunque e nonostante, avevano fatto la loro parte, se voi avete lavorato nel freddo noi altrettanto nel caldo, se voi avete patito la fame noi abbiamo patito la sete, se voi siete stati nel fango noi siamo stati nella sabbia, se voi avete avuto i vostri morti noi abbiamo avuto i nostri.
Lo scontro, peraltro civile e cavalleresco, avrebbe potuto risolversi senza vinti e senza vincitori se gli alpini, freddi come il ghiaccio da cui provenivano, non avessero chiuso il dibattito, sia pure accettando le ragioni esposte dagli aviatori, con un diabolico però. Bravi anche voi, però gli alpini.
Pertanto c’è un però che è rimasto sullo stomaco e il menagramo insiste. Dovete chiarire, domenica li avete qui, approfittatene e riprendete le trattative.
Non raccolgo, trovo che non è il momento, proprio ora che sono in festa sarebbe una vigliaccata, mi ritiro, lascio la piazza e rimando il nuovo incontro, se ci sarà, ad altra data.
Del resto dobbiamo anche tener presente che sia loro che noi abbiamo servito lo stesso datore di lavoro e se uno ha dato di più non è detto che l’altro abbia dato di meno. Perciò armistizio in vista e per ora largo agli alpini.
Gli alpini. Erano in tanti e sono tornati in pochi. Venivano giù in stazione, trentatré, trentatré, trentatré, ogni colpo di tamburo uno al cuore, allineati e coperti per modo di dire, piegati in due sotto il carico da bestie che avevano sulla schiena, lo zaino che sfiancava, le cinghie che segavano, le giberne che comprimevano, il fucile che strangolava, la coperta che soffocava, il piastrino che grattava, la baionetta che dondolava, la gavetta che suonava, la borraccia che contrappuntava, giudaporco e orcoboe, e sorridévano lo stesso e sui marciapiedi la gente li guardava e taceva e non osava nemmeno salutarli per paura di farsi vedere a piangere e di piangere con loro, poveri alpini del Friuli.
Poveri alpini del Friuli.
Sembravate vuoti, senza contenuto, soltanto vetrina e invece qualche cosa avevate dentro che non era tutto il piangere che si credeva ma che nemmeno era il suono inutile e dispettoso di quelle parole che avevano inventato per voi e che voi ora vi vedevate intorno, incollate sui muri delle case, per le strade della vostra angosciata rassegna, alpin jò mâme, o là o rompi, fuârce paîs, che malinconia.
Oh no, quelle erano parole e restavano ferme, nere, inanimate mentre voi invece partivate. No, era ben altro dentro di voi di ciò che esse dicevano, vecchie di almeno di quanti erano i vostri anni, poiché voi le avevate viste da sempre, incatramate sulle case dei vostri paesi insieme al cannone, al cappello d’alpino e alla classe di ferro, no, voi avevate dentro qualche cosa di più che non fossero state le parole, quelle parole, voi avevate dentro la casa. Vi eravate arrabbiati per quel brutto modo che avevano avuto di distaccarvi dalla casa e avete anche bestemmiato la patria coinvolgendola con la guerra. Chi vi poteva dare torto? Come dare torto a gente come voi che non sapeva niente di niente di ciò che accadeva fuori del paese e che aveva lasciato la patria nelle pagine dell’ultimo libro di lettura venti anni prima?
Vi eravate arrabbiati e avevate avuto ragione. Che cosa c’entravate voi? La patria. Oh sì, la patria, i soldati, la bandiera, ma non mai la guerra, dicevate, quasi che le guerre purtroppo non fossero sempre state parte indivisibile della patria, tutte, anche le guerre cosiddette ingiuste, anche quelle cosiddette giuste, poiché così si usa distinguere le guerre, come se il sangue delle guerre giuste fosse meno rosso di quello delle altre e meno pianto questo portasse nelle case di quel pianto che portano le ingiuste.
Eppure, nonostante tutto, la patria era dentro di voi, una specie di amore addormentato che si svegliò quando si trattò di fare i conti con la propria coscienza. Che cosa se non amore poteva essere allora quel venir fuori della coscienza che era degli uomini prima che lo fosse dei soldati? Quell’andare e quell’andare e tacere, quel tormentarsi con i rimpianti e con le nostalgie e tacere, e ancora quell’andare e quell’andare sempre più lontano, sempre più incerto, sempre più pauroso e tacere, e quel patire del corpo che era come il sottile serpeggiare di un piacere nuovo che veniva dallo star male per qualche cosa che ne valeva la pena e non dire niente a nessuno, tutto ciò era orgoglio ed era superbia ed era dignità ma era anche amore per la patria. Proprio del friulano. Proprio lo stile di questo popolo che non fa differenza fra come vive nella sua povertà e tace e come fa il suo dovere e tace.
E intanto gli alpini scrivevano a casa che ingrassavano, sto bene, sono ingrassato, baci, Molaro Libero. Scrivevano che ingrassavano e invece morivano di tutto in quel brutto stare fra l’odore del sangue e l’odore dei muli, la baionetta a portata di mano, non si sa mai, la mano cinque petali di ghiaccio sul fucile di ghiaccio.
Sono ingrassato. Gli alpini scrivevano che erano ingrassati e invece morivano o più tardi dovevano essere come morti, oppure ritornavano a casa che era soltanto un pianto degli altri, nemmeno il piacere di piangere insieme poiché a loro il pianto non veniva.
Sei qua, sono qua ma gli altri sono morti, quello era con me, quello era con me, quello era con me, erano con me e sono morti, ma tu sei qua, sono qua ma altri ancora sono rimasti per la strada e di loro non si saprà più niente, ma tu sei qua, sono qua ma i mille del Galilea sono in fondo al mare, mille in un colpo solo, cinquecento compagni in fondo al mare, ma tu sei qua, sono qua ma mi vergogno di essere qua.
A questo punto l’aviatore si inchina, partecipa, compiange e riconosce che anche loro hanno fatto la loro parte. Bravi anche loro, come no, il freddo, la fame, il fango, i morti, come no, bravi anche loro, però gli aviatori.